martedì 16 dicembre 2014
giovedì 27 novembre 2014
micia
" ... Quando si allontanò dalle rocce e giunse a una certa distanza dai rami protesi dell'albero, un'ombra si ingrandì come una pozza di inchiostro nell'oscurità circostante, insieme a un tenue sibilo d'ali che cessò proprio mentre la gatta si girava per metà e fissava incredula l'immensa apertura delle ali protese verso il basso, per poi girarsi di nuovo e cominciare a strillare ancor prima che il gufo le piombasse sulla schiena come una pietra.
Il signor Eller (...) si avviò verso casa. Quando fu all'altezza della cassetta delle lettere venne fermato da un acuto e debole miagolio che sembrava venire dal cielo. Guardò in alto, ma non c'erano alberi. Scosse la testa e proseguì, avanzando con cautela nel vialetto devastato. Il grido risuonò di nuovo, questa volta più lontano, verso la fila di pini dietro la casa."
C. McCarthy, Il guardiano del frutteto, Einaudi, 2002
giovedì 9 ottobre 2014
martedì 7 ottobre 2014
margini
"... impossibilità di tracciare confini come linee nette, di fissare il confine una volta per tutte: un confine non è mai una linea ma, come direbbero Deleuze e Guattari, una 'linea di fuga', un terrain vague fra due bordi, un margine permeabile come le membrane biologiche: eterotopia che apre e chiude, luogo dove si cammina, si passa e si tra-passa."
Massimo Filippi, Ai confini dell'umano, ombre corte, 2010.
venerdì 4 luglio 2014
Resistenza animale
"Effettivamente, il tema della resistenza animale potrebbe essere quella crepa (strana crepa, perchè costitutiva) nell'edificio zootecnico, attraverso cui ci è permesso osservare il suo funzionamento e sentire le voci che provengono dal suo interno."
Benedetta Piazzesi, Muti discorsi e corpi eloquenti, Liberazioni n. 17
mercoledì 14 maggio 2014
Numeri
" (...) L'operazione era poco dolorosa e non durava più di un minuto, ma era traumatica. Il suo significato simbolico era chiaro a tutti: questo è un segno indelebile, di qui non uscirete più, questo è il marchio che si imprime agli schiavi ed al bestiame destinato al macello e tali voi siete diventati. Non avete più nome: questo è il vostro nuovo nome. La violenza del tatuaggio era gratuita, fine a se stessa, pura offesa: non bastavano i tre numeri di tela cuciti ai pantaloni, alla giacca ed al mantello invernale. No, non bastavano: occorreva un di più, un messaggio non verbale, affinché l'innocente sentisse scritta sulla carne la sua condanna."
Primo Levi, "I sommersi e i salvati", Einaudi, 1986
mercoledì 12 marzo 2014
lunedì 3 febbraio 2014
venerdì 24 gennaio 2014
giovedì 16 gennaio 2014
ESSERE PREDA
" (...) Il coccodrillo attacca la canoa con violenza. Le aggressioni ripetute dell'animale rischiano di capovolgere l'imbarcazione, il che conduce Plumwood a saltare per guadagnare la riva.
Il coccodrillo, però, compie un balzo, l'afferra con le fauci fra le gambe e la piroetta "nella soffocante oscurità delle acque". Plumwood continua descrivendo una serie di ripetute giravolte mortali che il coccodrillo le fa compiere. Ella sopravvive a diverse di queste abbastanza a lungo per provare di nuovo a scappare e a cercare di raggiungere la riva; ancora una volta, però, viene ricatturata dalle fauci del coccodrillo e trascinata sott'acqua.
(...) lotta strenuamente, cerca di colpire l'animale agli occhi, (..) prova ad afferrare i rami della vegetazione circostante, (...) finalmente riesce a sottrarsi alla presa del coccodrillo (...). Nonostante sia gravemente ferita, riesce comunque a remare verso la salvezza e alla fine viene recuperata da una squadra di soccorritori.
(...) Ci sono voluti dieci anni perchè Plumwood trovasse modo di raccontare questa storia dal suo punto di vista, storia molto differente da quella della narrativa del mostro maschilista.
In essa racconta la "riduzione scioccante" subita nel corso della quale si era trasformata da soggetto umano consolidato a pezzo di carne. (...) Ella mostra come tale riduzione le abbia permesso di comprendersi e di cogliere in maniera differente la propria collocazione dentro la natura e tra gli animali. (...)
Nel momento stesso in cui il coccodrillo l'afferra e la getta in acqua, la prospettiva di Plumwood scivola, da dentro se stessa e da sopra, verso un mondo di indistinzione, dove si rende conto
di essere carne:
"In quel lampo, intravidi per la prima volta il mondo dall'esterno, un mondo non più mio, un paesaggio desolato ed irriconoscibile, fatto di cruda necessità e indifferente nei confronti della mia vita e della mia morte." (...) Il pensiero: "Non è possibile che stia accadendo a me, io sono un essere umano, sono tutt'altro che cibo", era parte di questa mia estrema incredulità.
(...) Plumwood non pensa la propria morte in quanto tale, (...)
al pari di tutti gli altri animali, diviene preda e carne, (...) tuttavia, nel momento stesso in cui si sente preda di un altro animale, comprende che questo non è il suo modo esclusivo di esistenza; nel corso dell'aggressione, ella rivendica di essere più che carne, resistendo strenuamente all'attacco.
(...) umani e animali sono, al contempo, carne e più che carne."
M. Calarco, "Essere per la carne: antropocentrismo, indistinzione e veganismo",
trad. dall'inglese di Massimo Filippi,
Liberazioni n. 15
domenica 12 gennaio 2014
venerdì 10 gennaio 2014
Tenerezza
" (...) il cane fece due giri su se stesso e si stese acciambellato.
L'uomo si tirò le lenzuola fino al collo, tossì due volte
e poco dopo entrò nel sonno.
Seduta nel suo canto, la morte guardava.
Molto più tardi, il cane si alzò dal tappeto e salì sul sofà.
Per la prima volta la morte seppe cos'era avere un cane in grembo."
Josè Saramago, Le intermittenze della morte, 2005
mercoledì 8 gennaio 2014
Dal carcere di Breslavia, dicembre 1917
" (...) Ahimè, Sonička, qui ho provato un dolore molto intenso. Nel cortile dove vado a passeggiare arrivano di frequente carri dell’esercito, zeppi di sacchi o vecchie giubbe e casacche militari, spesso con macchie di sangue. Vengono scaricate, distribuite nelle celle per i rattoppi e quindi di nuovo caricate e rispedite all’esercito. Qualche tempo fa è arrivato un carro tirato da bufali anziché da cavalli. Per la prima volta ho visto questi animali da vicino. Di struttura sono più robusti e più grandi rispetto ai nostri buoi, hanno teste piatte e corna ricurve verso il basso, il cranio è più simile a quello delle nostre pecore, completamente nero e con grandi occhi mansueti. Vengono dalla Romania, sono trofei di guerra... I soldati che conducono il carro raccontano quanto sia stato difficile catturare questi animali bradi, e ancor più difficile farne bestie da soma, abituati com’erano alla libertà. Furono presi a bastonate in modo spaventoso, finché non valse anche per loro il detto «vae victis »... Soltanto a Breslavia, di questi animali, dovrebbe esservene un centinaio; avvezzi ai grassi pascoli della Romania, ora ricevono cibo misero e scarso. Vengono sfruttati senza pietà, per trainare tutti i carichi possibili, e assai presto si sfiancano.
Qualche giorno fa arrivò dunque un carro pieno di sacchi, accatastati a una tale altezza che i bufali non riuscivano a varcare la soglia della porta carraia. Il soldato che li accompagnava, un tipo brutale, prese allora a batterli con il grosso manico della frusta in modo così violento che la guardiana, indignata, lo in- vestì chiedendogli se non avesse un po’ di compassione per gli animali. « Neanche per noi uomini c’è compassione » rispose quello con un sorriso maligno e battè ancora più forte... Gli animali infine si mossero e superarono l’ostacolo, ma uno di loro sanguinava... Soniéka, la pelle del bufalo è famosa per essere assai dura e resistente, ma quella era lacerata. Durante le operazioni di scarico gli animali se ne stavano esausti, completamente in silenzio, e uno, quello che sanguinava,guardava davanti a sé e aveva nel viso nero, negli occhi scuri e mansueti, un’espressione simile a quella di un bambino che abbia pianto a lungo. Era davvero l’espressione di un bambino che è stato punito duramente e non sa per cosa né perché, non sa come sottrarsi al tormento e alla violenza bruta... gli stavo davanti e l’animale mi guardava, mi scesero le lacrime — erano le sue lacrime; per il fratello più amato non si potrebbe fremere più dolorosamente di quanto non fremessi io, inerme davanti a quella silenziosa sofferenza. Quanto erano lontani, quanto irraggiungibili e perduti i verdi pascoli, liberi e rigogliosi, della Romania! Quanto erano diversi, laggiù, lo splendore del sole, il soffio del vento, quanto era diverso il canto armonioso degli uccelli o il melodico richiamo dei pastori! E qui... questa città ignota e abominevole, la stalla cupa, il fieno nauseabondo e muffito, frammisto di paglia putrida, gli uomini estranei e terribili e... le percosse, il sangue che scorre giù dalla ferita aperta. Oh mio povero bufalo, mio povero, amato fratello, ce ne stiamo qui entrambi così impotenti e torpidi e siamo tutt’uno nel dolore, nella debolezza, nella nostalgia. Intanto i carcerati correvano operosi qua e là intorno al carro, scaricavano i pesanti sacchi e li trascinavano dentro l’edificio; il soldato invece ficcò le mani nelle tasche dei pantaloni, se ne andò in giro per il cortile ad ampie falcate, sorrise e fischiettò tra sé una canzonaccia. E tutta questa grandiosa guerra mi passò davanti agli occhi..."
martedì 7 gennaio 2014
Mocha Dick
Il capodoglio tanto temuto per la sua ferocia,
famoso per aver tenuto testa per decenni ai balenieri di mezzo pianeta,
recava su di sé i segni delle infinite lotte per sopravvivere.
Non ho mani
per strappare gli arpioni
dalla mia schiena.
Anche ora
che il dolore tace,
una lunga coda
che non m'appartiene
mi insegue.
La sento sferzare le onde,
la trascino
con me negli abissi.
Straniero
a me stesso
e ai compagni,
il nemico
per sempre
nei fianchi.
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